giovani tromboni
In the age of Umbilicus
 

King Crimson

Forse l'unico gruppo della stagione progressive sopravvissuto fino a oggi senza diventare la propria caricatura da gerontocomio: si sono evoluti senza concessioni commerciali, facendo musica nuova e attuale pur rimanendo coerenti con lo stampo del 1969, quando esordirono al concerto di Hyde Park in memoria di Brian Jones. La chiave paradossale di questa coerenza, che ha guadagnato loro uno stuolo di seguaci fedelissimi, sta nel fatto che in quasi quarant'anni di storia si sono avvicendati una ventina di musicisti, che il gruppo è stato dichiarato sciolto per sempre e poi è rinato dalle sue ceneri almeno tre o quattro volte, e che in tutto questo l'unico elemento inamovibile è stato un omino inglese del Dorset a nome Robert Fripp.

Di Fripp si conosce un'unica foto in cui sorrida, e molti avanzano il sospetto che sia stato un abile lavoro di fotoritocco. Quando cominciò a suonare la chitarra si rese conto di non avere alcun senso della melodia e del ritmo, e quindi si buttò sullo strumento con un approccio del tutto personale: tecnico, colto, ai confini dello zen.

21st Century Schizoid Man (In the Court of the Crimson King, 1969)
L'esordio. Una voce distorta dipinge la visione apocalittica di un futuro dove i poeti muoiono di fame, il napalm stermina innocenti, e l'uomo schizoide del titolo possiede solo quello di cui non ha bisogno: "Nothing he's got he really needs". Difficile non sentircelo vicino.
Una versione molto bella e grezza di questo pezzo simbolo è testimoniata su Earthbound, il primo disco live, noto più che altro per la pessima qualità dell'incisione; poi un recente cofanetto della DGM (la casa discografica di Fripp, che sta pubblicando a puntate incisioni di tutte le epoche, per la gioia e il tormento economico dei collezionisti) ne ospita ben dodici versioni dal vivo. Ci siamo capiti.

In the Court of the Crimson King (In the Court of the Crimson King)
"Re Cremisi" dovrebbe essere una definizione poetica di Belzebù, come anche ci conferma il famosissimo e angoscioso faccione paonazzo in copertina; ma è diventato impossibile non riferirsi in quel modo a Fripp con la sua corte di musicisti. Il primo cortigiano fu Pete Sinfield: scriveva tutti i testi, curava la scenografia e le luci, si dava talvolta da fare al VCS3, uno dei primi sintetizzatori. Dopo la rottura con Fripp lavorò con EL&P, e scrisse pure la versione inglese dei testi della nostra PFM, per la fugace avventura americana con l'album Celebration (in originale: "E' festa").

I Talk to the Wind (In the Court of the Crimson King)
Dopo le discese agli inferi tutte bordate di mellotron, sax imbizzarriti e chitarra distorta, una parentesi di arpeggi e flautini eterei: l'altra anima, rarefatta e melodica, del gruppo. Qua ben impersonata dalla voce cristallina di Greg Lake, primo bassista e cantante che lasciò i KC di lì a poco per andare a fondare gli Emerson, Lake and Palmer e mettere su qualche chilo di troppo.

Prince Rupert Awakes (Lizard, 1970)
Lizard, un album ricco di influenze jazzistiche grazie alla presenza di ospiti come il pianista Keith Tippett, è occupato per metà dall'omonima (e un po' datata) suite medievaleggiante, cantata in gran parte da Jon Anderson degli Yes.
Il nuovo bassista e cantante dei King Crimson fu comunque Gordon Haskell, che non ebbe in seguito una carriera all'altezza del suo predecessore: lasciato il gruppo con un codazzo di beghe legali, cadrà nel dimenticatoio per trent'anni economicamente molto difficili, per infilare poi nel 2001 un singolo e un album andati rapidamente in vetta alle classifiche inglesi. Canzoni intense e malinconiche, in copertina sempre lui, con cappello e barba ormai bianca.

Ladies of the Road (Islands, 1971)
Una canzone abbastanza esplicita sui numerosi incontri femminili di un musicista in tour; non serve un esperto di strumenti musicali per cogliere i doppi sensi di un verso come "Just love to feel your Fender".
Nonostante Fripp abbia sempre sottolineato la sua distanza dal blues e forme derivate, questa è l'eccezione che conferma la regola. A tratti sembra Come Together dei Beatles, che echeggiano anche nell'apertura melodica dell'inciso, ma poi interviene la solita chitarra sghemba a rimettere le cose a posto.
Il bassista e cantante di turno era Raymond Burrell, più noto come Boz. Sapeva cantare ma non suonare il basso: Fripp glielo insegnò in poche settimane, evidentemente con buoni risultati. In seguito Boz andò a far parte dei Bad Company.
Alla batteria c'era Ian Wallace, che poi è stato un turnista coi fiocchi (con Bob Dylan, per dirne uno). Ora gira con la 21st Century Schizoid Band, un gruppo di "reduci" dei primi tempi che include i fratelli Giles, Mel Collins, Ian McDonald; e col Crimson Jazz Trio, che interpreta il canzoniere dei King Crimson come se si trattasse di standard jazzistici.
Islands è l'album del primo di molti canti del cigno dei KC, per i quali è sempre più difficile distinguere tra formazioni e defezioni.

Lark's Tongues in Aspic part II (Lark's Tongues in Aspic, 1973)
Nel 1973 i King Crimson rinascono, col primo album della trilogia che alcuni hanno definito di "progressive metal" a causa dell'inasprimento dei suoni. La compagine si è rivoluzionata: alla batteria Bill Bruford, virtuoso poliritmista transfuga dagli Yes; al basso e voce John Wetton; ai fiati si è sostituito il violino di David Cross, e si è aggiunto anche un percussionista, Jamie Muir.
Il pezzone strumentale che dà il titolo al disco (de gustibus: Lingue d'allodola in gelatina), tempi dispari e progressione crescente di accordi, è un altro classico durevole dei King Crimson: una "Lark's Tongues in Aspic part III" è presente sul disco del 1984, una "part IV", a sua volta suddivisa in quattro parti, sul disco del 2000.

Starless (Red, 1974)
Nel consueto vortice di defezioni, i KC rimangono in tre. E producono Red: un album teso, inizialmente poco apprezzato da pubblico e critica, ma rivelatosi nel tempo tra i musicalmente più influenti. "Starless" riprende il titolo di un pezzo dell'album precedente (e dell'album stesso), Starless and Bible Black, una citazione da Dylan Thomas che significa più o meno "buio pesto".
Da molti è ritenuto, non a torto, il brano più bello dei King Crimson: una melodia struggente, Wetton che canta riflessioni amare sul "cruel twisted smile" di certi vecchi amici (fatto forse non collegato: al trio si aggiungono per l'occasione il violino e il sax di vecchi "cortigiani"); e quando la canzone potrebbe essere finita, partono sette minuti di crescendo mozzafiato, con Fripp ad esasperare la tensione tramite un incredibile assolo di due note ribattute. Brividi, ed ennesimo sipario.

Elephant Talk (Discipline, 1981)
Nel 1981 i King Crimson tornano a sorpresa, con l'album Discipline (in realtà questo doveva essere il nome del nuovo gruppo). Ancora Fripp e Bruford, più Tony Levin - un volto pelata-e-baffoni ben noto a tutti gli aficionados di Peter Gabriel - che suona lo Stick, un nuovo strumento a metà tra basso e chitarra suonata percuotendo a due mani la tastiera; e soprattutto Adrian Belew, proveniente da un'altra corte di chitarrista idiosincratico, quella di Frank Zappa, dove era accreditato come "stunt guitar"; poi collaboratore di Bowie, Talking Heads e dintorni. La chitarra geometrica di Fripp e quella impressionista di Belew creano un impasto ancora inimitabile: nelle intenzioni, una versione rock del gamelan indonesiano, che tutti tanto bene conosciamo (vero?).
In Elephant Talk, un elenco alfabetico dalla A alla E delle forme di comunicazione orale, Belew non solo fa "parlare" la chitarra come tanti altri: la fa letteralmente barrire. Per restare nella savana, un suo soprannome è Lone Rhino.

Thela Hun Ginjeet (Discipline)
Adrian Belew sta camminando per le strade di Londra, prendendo appunti vocali sul suo registratore per una canzone sulla violenza urbana a New York. All'improvviso si trova di fronte due rapinatori armati. Uno gli strappa il registratore e preme play: si sente Belew che parla di pistole e posti pericolosi ("this is a dangerous place, this is a dangerous place!"). I due si allarmano, pensano che sia un poliziotto, lui si avvita in una spiegazione senza fine sul fatto che in effetti è solo un musicista che prende appunti, e alla fine in qualche modo li convince. Tremante gira l'angolo, e si imbatte in due poliziotti oltremodo sospettosi. Dopo essere riuscito con qualche difficoltà a spiegare la situazione, arriva finalmente allo studio, dove quasi isterico racconta agli altri l'accaduto; l'ineffabile Fripp, a sua insaputa, registra il tutto. Il risultato di questo gioco di specchi (sonori) è un pezzo frenetico e ansiogeno.
Ah, se vi chiedete ancora che lingua sia "Thela Hun Ginjeet": è solo l'anagramma di "Heat in the Jungle".

Matte Kudasai (Discipline)
Ve lo dico subito: "Matte Kudasai" non è un anagramma, ma l'equivalente giapponese di "attendere prego". L'attesa beckettiana è quella di una donna alla finestra, mentre piove. Forse scrive lunghe lettere senza risposta, di sicuro dorme su una sedia, "in her sad America". Senso di sospensione e malinconia anche nella musica, con chitarre come gabbiani in lontananza.
Del pezzo esistono due versioni, con e senza una parte suonata da Fripp: prima ne fu pubblicata una, poi l'altra, alla fine ce le hanno messe entrambe e amen.

Neal and Jack and Me (Beat, 1982)
Il secondo album della trilogia degli anni '80 ha per titolo Beat, in probabile omaggio all'omonima generazione degli anni '50. A fare vita on the road non sono più gli scrittori ma i musicisti: qua in una Parigi alle quattro del mattino Belew, insonne, tira in ballo una Studebaker Coupe del 1952, in compagnia di Neal (Cassady) e Jack (Kerouac). "Absent lovers, absent lovers".

Three of a Perfect Pair (Three of a Perfect Pair, 1984)
Lei è suscettibile, lui è impossibile; lui è contraddittorio, lei è ciclotimica; un pizzico di schizofrenia li rende una perfetta coppia. Di tre persone.
La deriva nevrotica dei testi in quest'incarnazione dei KC trova compimento nel terzo album del ciclo, a sua volta musicalmente schizofrenico: un lato di canzoni orecchiabili, l'altro spigoloso e sperimentale.

Dinosaur (THRAK, 1995)
Cosa ne è dell'uomo schizoide del ventunesimo secolo, un quarto di secolo dopo?
Si guarda indietro, prende atto della sua insipienza e si stupisce di non essere estinto. Bellissimo il suo urlo: "Sono un dinosauro, qualcuno sta scavando le mie ossa" (I'm a dinosaur, somebody is digging my bones).
Dieci anni dopo l'ultimo scioglimento del gruppo, Fripp richiama a sé Belew, Bruford e Levin, ma gli affianca Trey Gunn, un virtuoso di Stick e Warr Guitar uscito dalla sua scuola, e Pat Mastelotto, già batterista dei Mr Mister (non li ricordate, ok: dovrei fischiettare "Broken Wings"). Il risultato è un sestetto, o meglio un doppio trio: due chitarre, due bassi (anche se anomali), due batterie; un tipo di formazione che nel free jazz aveva già sperimentato Ornette Coleman. In questo caso più che una scelta musicale è un compromesso per cercare equilibri impossibili in una corte numerosa, tanto che con la trovata della "fraKctalisation" Fripp creerà una serie di sottogruppi paralleli, detti "projeKcts" (adottando l'arguto inserimento della sigla KC fino alla noia: The ConstruKction of Light è l'album successivo). Bruford e Levin abbandoneranno comunque la compagnia di lì a poco. Ma non è finita qui: nel 2003 se ne va Gunn, torna Levin, eccetera. Ci risentiamo tra vent'anni, d'accordo?